Non è semplice e tantomeno facile parlare di questa data simbolo.
Per farlo, sperando di riuscire rendere comprensibile e a trascrivere ciò che penso, riporto una delle tante dichiarazioni storiche riferite al significato di questa data.
La dichiarazione è di Mario Scelba [1], politico italiano per alcuni aspetti controverso, e tratta dal discorso da lui tenuto il 25 aprile del 1955:
<<Se ricordiamo le tragiche vicende della più recente storia d'Italia non è per rinfocolare odi o riaprire ferite, coltivare la divisione, ma perché vano sarebbe il ricordo dei morti e la celebrazione dei sacrifici sofferti se non ne intendessimo il significato più genuino ed il valore immanente, se gli italiani non avessero a trar profitto dagli insegnamenti delle loro comuni esperienze, e, tra gli italiani, i giovani sopra tutto, a cui è servato l'avvenire della Patria.>> [2]
Trarre "profitto dagli insegnamenti delle loro comuni esperienze" a mio avviso è il cardine di questa dichiarazione e evidentemente del pensiero che la generò.
Eppure non vedo questo "scatto", anche logico, nemmeno accennato nella politica italiana e tantomeno nella società.
Per quanto alla società per credo sia più un retaggio derivante dalla pochezza degli argomenti di confronto a cui gli italiani sono ben addestrati e che nel fatti porta la stragrande maggioranza di noi a pensare e quindi agire da tifoso. E a comando.
E quale opportunità migliore di sentirsi tifoso di una ricorrenza simile?
E naturalmente questo atteggiamento, irrazionale e inspiegabile per alcuni versi ai giorni attuali, è fortemente determinato dalla politica intesa però non solo come parte attiva appunto in politica, ma anche e soprattutto mella parte metapolitica e intellettualoide.
La politica attiva si ritrova in una sorta di circo e essendo apparentemente al centro della pista si adegua a tutto ciò che gira attorno a questa visione stucchevole di tale ricorrenza incompresa e super ultra strumentalizzata. Ad esempio tutto ciò che ne scaturisce a livello editoriale.
Ormai si è intrappolati in questa spirale, come per altre, ad esempio quella del primo maggio, in cui anche l'ipocrisia viene superata, perché al servizio della vera essenza di queste ricorrenze: la propaganda e il soldo.
Alla soglia dei sessant'anni sinceramente, e potrebbe anche essere per una fallace memoria, non ricordo un tale livore inspiegabile e soprattutto anacronistico, tolti i periodi immediatamente dopo la "liberazione", anche alla luce del fatto che oggi a beccarsi ci sono solo galli e galline nati ben dopo tali periodi.
Eppure si riesce nell'impresa di accendere fuochi a comando come se fosse questo il momento immediatamente successivo.
Nella dichiarazione di Scelba mi colpiscono anche due concetti finali che credo sia conseguenziali: "i giovani" e "la Patria".
I giovani di allora sono proprio i tifosi di oggi. Forse anche Scelba la pronunciò per "dovere".
E questo per me testimonia la vera "essenza" di giornate come questa che sono solo motivo di rinfocolare le tifoserie.
Per quanto alla Patria...beh quella è finta prima di iniziare e evidentemente in conseguenza di tali avvenimenti e a seguito dei vari sviluppi che viviamo tutt'oggi.
E questo si lega al concetto di libertà...ma prima dovremmo comprendere cosa significa libertà e se la intendiamo solo come non perdere qualcosa se siamo disposti a dare altro in cambio o se dobbiamo dare ad ogni costo: pena l'esclusione.
Qual'è stato il passo in avanti? Internet forse e tutto ciò che ne deriva?
O poter dire o fare ciò che ci si aspetta che si dica e non ciò che si vorrebbe dire o fare?