“Ho visto che c'è stata una pandemia che ha messo in ginocchio il mondo..”
Queste le parole di Vasco rossi a motivazione della sua scelta.
Così come per tanti altri.
Tutti noi abbiamo visto quello che tutti vedono.
Così come tutti noi vediamo e sentiamo tutto ciò che gli altri vedono e sentono.
E cosa vediamo e sentiamo?
Vediamo e sentiamo quello che ci viene fatto vedere ed ascoltare.
Sí, ascoltare. Perché se ascoltiamo, oltre che sentire e vedere, forse qualcosa in più capiamo.
Se dopo aver sentito ed ascoltato nonché visto ci poniamo dei quesiti, un'opinione un po' più chiara e completa chiunque si noi è in grado di farsela.
Non è in dubbio ciò che ha scatenato il tutto, volutamente o casualmente, ma l'uso assolutamente macroscopicamente distorto che se ne fa.
Il mainstream con le sue majorettes ed i suoi saltimbanchi continua nel suo lavoro incessante ed infaticabile: alzare una cortina di nebbia ad uso e consumo di una lettura che non si discosta minimamente dal copione iniziale anche dopo quasi due anni e dopo evidenti carenze nel copione stesso e nella continua reiterazione del racconto.
Nei primi mesi di questa vicenda, perché di una vicenda si tratta, mi sono fatto carico di tutta una serie di comportamenti e di modifiche del mio quotidiano come la maggior parte di tutti noi.
Ad un certo punto però, le cose hanno iniziato a non ridare con quanto narrato in maniera martellante ed incessante.
L'evidente ricerca di innescare quel processo di frammentazione ultimo della società in cui viviamo si è manifestato in tutta la sua ferocia.
L'aggressività messa in campo, ammantata da un falso buonismo e paternalismo, da subito ha evidenziato la ricerca di instaurare un clima da caccia all'uomo perenne e continuativo nonché reiterato con motivazioni apparentemente diverse nel tempo ma sempre uguali nel suo proponimento.
È evidente tentativo, molto ben riuscito fino ad ora, di separare la società e soprattutto di frammentarla in maniera da creare una sorta di groviglio di singoli ben distanti e distaccati tra loro. Quindi più vulnerabili.
L'azione del mainstream è stato così capillare e ben condotta, anche grazie alla assoluta prostrazione di gran parte delle nostra società, che anche le più evidenti discordanze e misure assolutamente ininfluenti sulla questione in sè, nulla hanno sortito nello scuotere coscienze e menti di molti.
Stiamo assistendo giorno per giorno ad una sorta di impappamento delle proprietà cognitive e critiche di una parte maggioritaria della nostra società.
Eppure neanche l'evidenza che i freddi numeri, usati come clava per polverizzare le menti, sono stati e sono tutt'ora elaborati con una certa utilitaristica funzione, riescono a sbloccare costoro.
L'imperativo per molti è quello di “voler vivere in pace”, solo che questa è una sorta di pace nemmeno apparente.
La paura ha preso il sopravvento sulla stessa natura umana di molti che trovano rifugio in una sorta di nuvola emotiva finalizzata alla creazione di una morale ed etica interconnesse e ben messe in mostra e non più private ed intime con il chiaro intento di eradicare il libero arbitrio e quindi la propria ed altrui libertá.
La ricerca di una pace apparente che permetta di soddisfare le quotidiane incombenze e di poter cedere di vivere una vita normale, di fatto sta rendendo la vita di tutti una sorta di partita a scacchi con un presunto imprevisto che però è e lo sarà sempre di più regolatore della nostra vita in futuro: il green pass.
Che è uno strumento da cui già anche molti tra i più solerti ed accondiscendenti scienziati hanno preso le distanze.
Eppure molti italiani lo osannano come un vero e proprio dogma della loro e non solo loro vita presente e futura.
Il combinato tra quello che ci è stato rappresentato, il come ci è stato rappresentato e soprattutto per come ci viene imposto, non smuove di un micron la mente di molti. Di troppi.
Sono bloccati ne apparente sensazione di essere stati resi liberi da un diplomino che invece li sta ingabbiando sempre più in una rete sottile ma forte che tra non molto corconderá tutti noi: l'identità digitale.
Molti la confondono con l'uso smodato dei social e delle applicazioni in genere. Può esserlo sino ad un certo punto. Ma delegare tutta, proprio tutta la propria esistenza in vita dal punto di vista burocratico ad un algoritmo o ad una serie di algoritmi è cosa ben diversa.
Anche per coloro che tagliano corto esclamando tronfi: “io non ho nulla da nascondere”.
Non si tratta di nascondere, ma di subordinare, come ci stanno a “educando” a fare, termine paternalistico molto caro ai globalisti e liberisti amanti del pensiero unico, tutto il proprio avere e una parte dell'essere ad entità di cui non abbiamo il controllo.
Altro che password e doppi codici.