Sempre più piegati

Il sostantivo femminile resilienza ha un significato chiaro e inequivocabile:

1. Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
2. In psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
3. In ecologia, la velocità con cui una comunità biotica è in grado di ripristinare la sua stabilità se sottoposta a perturbazioni.

La sua origine deriva dal latino resilĭens -entis, p. pres. di resilire ‘rimbalzare’

Rimbalzare ad esempio lo si dice di un corpo che urta contro un ostacolo, balzare all'indietro o in direzione opposta.

Quindi per le persone la resilienza è la capacità di fronteggiare stress e avversità resistendo e riorganizzando positivamente la propria vita e le proprie abitudini dopo un evento critico negativo uscendone rafforzate.

Eppure nell'accezione corrente assume un valore completamente diverso.

Si trasforma in una propensione al subire e accettare ogni evenienza.

Non di combatterla per impedire che la stessa mini il nostro percorso.

La spinta resiliente chi ci viene data è quella dell'accettazione colpevolizzante dei fatti che accadono, o meglio, vengono provocati.

Di fatto la resilienza è presa e adottata come un nuovo livello di darwinismo sociale ed economico.

Non ce la fai a curarti?

Colpa tua: hai vissuto sopra le tue possibilità.

Hai uno stipendio dal tuo lavoro che ti permette solo di sopravbire a fatica?

Colpa tua: non sei competitivo.

L'elenco è infinito delle applicazioni di questa resilienza così come la si vuole incollare nella testa delle persone.

Devi subire, perché se stai avendo sei colpevole, per il bene di tutti.

E questo distorto concetto di resilienza genera frustrazione sempre crescente, parimenti alla povertà che non è altro che l'impossibilità di poter essere in un mondo dove ciò che conta è solo ed esclusivamente quello che hai economicamente.

Capisco che non sia semplice comprendere questo circolo vizioso travestito da resilienza, ma è dovere di ognuno di noi sforzarci per comprendere.

Se il mio lavoro, come per la maggior parte degli italiani, produce per me e la mia famiglia la possibilità di spesa per 100, come posso vivere dignitosamente se una soglia minima è quella di 120?

Forse l'unico uso corretto di questo termine è quello contenuto nellaceonico PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Ma qui l'inghippo è nei presupposti e nel fine vero che si somma a tutto ciò che il termine resilienza nasconde e muta: arrangiati e non rompere i coglioni.

Adesso stiamo assistendo ad un forte tentativo di canalizzare la frustrazione accumulata dall'essere resilienti come prescritto verso l'esterno.

In ogni caso, già lo è, ma sarà l'ennesima scusa per giustificare la continua oppressione "dolce" che molti non percepiscono e che impedisce loro di andare oltre la sopravvivenza: come schiavi.

Resilienti però. 

Piegati, sempre più, come l'albero che spesso viene usato ad immagine.